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            Piero Gazzara

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Il sistema delle fortificazioni di Rometta e i fatti d’armi: dai bizantini all’età moderna.

 

 

Estratto della relazione di Piero Gazzara presentata nel Convegno di Studi Immagini, Scritture, Pietre: territorio e identità nella storia di Sicilia, tenutosi presso l'Università di Messina e nel Comune di Furnari nei giorni 10 e 11 Novembre 2018. (Pubblicato in Archivio Nisseno, Rassegna di storia, lettere, arte e società della Società Nissena di Storia Patria, a cura di Luciano Catalioto, Raffaele Manduca e Luigi Santagati, Anno XIII, n. 24, supplemento n. 2, ISSN 1974-3416, pp. 419 - 437)

 

 

 

 

J. B. B. D'Anville, Complete Body of Ancient Geography, London 1795

Rometta, questa sconosciuta. Ancora oggi è possibile individuare i segni compositi di un passato ricco di eventi in cui leggere le risposte al perché il Regno di Sicilia, ma più di tutti Messina, cercavano di fare affidamento sulla fedeltà e controllo di un centro abitato che sorgeva in cima ad una difficile collina, dall’aspetto di montagna, in un territorio montuoso, tagliato da profonde vallate alluvionali, esposto a venti impetuosi, raggiungibile da strade mulattiere «che apparivano accessibili solo agli armenti» per dirla con le parole di un viaggiatore irlandese di inizio 800 . Eppure in cima a questo rifugio tra le montagne, situato sul versante tirrenico dei Monti Peloritani, la gente vi è vissuta da tempi remoti. E ci vive ancora.

Siede [Rometta] a cavaliere sopra un monte presso i sottostanti comuni che ne dipendono, come da antica lor madre, ed offre comodo accesso per due porte, presso le quali esistono i ruderi dei grandi e solidi castelli che la rendevano un tempo inespugnabile. Cinta di merlate mura, presenta tuttora l’imponenza di una delle più antiche città dell’isola, che contrastò sempre al dominio straniero. Non molti anni addietro è stata cinta di nuove mura, ristorata e fatta più bella, essendoché l’orribile terremoto del 1783 l’aveva quasi interamente distrutta .

La descrizione appena fatta risale al 1869 e pennella, a chiare tinte, la funzione che ebbe la piccola terra, poi dal 1647 città demaniale, di Rometta, erede della bizantina Erymata  e della medievale Rametta. Oggi, è centro amministrativo di un comune del messinese tirrenico posto tra Capo Rasocolmo e il promontorio di Milazzo di fronte alle isole Eolie, che conta 6.541 residenti , divisi tra i piccoli borghi collinari e il grosso centro costiero di Rometta Marea.
Il centro storico, occupa interamente l’area sommitale per un totale di 21 ettari circa, delimitata da tutti i lati da pareti rocciose precipiti. L’ampio terrazzamento con un perimetro di circa 2,3 km. rappresenta l’archetipo antico di un sito fortificato d’altura che avvalora l’immagine di una Sicilia del passato, vista come isola-fortezza perennemente soggetta ad attacchi esterni che la trasformavano spesso in un luogo di frontiera tra occidente ed oriente e, insieme, baricentro millenario di politiche estere delle diverse civiltà del bacino mediterraneo. Da questa terrazza naturale, i Bizantini, i primi di cui abbiamo notizia, controllavano alcuni tratti stradali fondamentali che scavalcavano la dorsale montuosa dei monti peloritani terminali del sistema appenninico calabro-siculo.

 

Erymata (Remata) oggi Rometta (ME): veduta nord-ovest.

 


E nella sua forma attuale, Rometta porta la radice del suo antico nome, tramandato dagli scrittori del medioevo, R.m.t., fonema arabo del greco-bizantino R(y)m(a)ta, a sua volta derivato dal verbo greco-antico eruw, che significa difesa, riparo. Ancora oggi, come al tempo della sua fondazione, la svettante Rometta è pronta ad assicurare ai suoi abitanti sicurezza e protezione poiché formata dalla natura e dalla mano degli uomini per sostenere gli assalti alle sue mura o per resistere ai più duri assedi.


Non sappiamo nulla sulla fondazione. Le evidenze archeologiche emerse durante le campagne di scavo hanno identificato diverse aree interessate da testimonianze materiali. In particolare, dentro la cinta muraria, su una vasta fascia che si estende dalla via ex Roma (oggi C. Terranova) fino alla linea delle mura perimetrali, è stato rintracciato un livello archeologico di IV - III sec. a.C. Un’altra area urbana, localizzata intorno al celebre edificio tardo antico, conosciuto con il classico nome di Chiesa bizantina del S. Salvatore, oggi più propensi a riconoscerlo come un battistero, è occupata da una necropoli di epoca proto-bizantina e da ampie vasche per la raccolta di acqua piovana scavate nella roccia.
Lungo tutta la parete rocciosa, ma anche in altre contrade adiacenti la collina romettese, insistono numerose grotte. Tra queste assumono rilievo di indagine quelle di contrada Sotto San Giovanni con latomia ellenistica e chiesa basilicale a sette navate e, proseguendo verso nord, si trovano gli ipogei altomedievali. Sul vicino Monte Palostrago sono stati riconosciuti i resti di una estesa necropoli a grotticelle artificiali dell’età del Ferro, allargata e riutilizzata in età greca (IV a.C.) e poi bizantina. Sull’area insiste la presenza di numeroso cocciame di età preistorica e greca (IV – III a.C.).

L'archeologo Giacomo Scibona (in tenuta estiva): negli anni 60' del secolo scorso condusse

delle campagne di scavi nel territorio romettese.


Sul vicino rilievo collinare della Motta, gli scavi, condotti negli anni 60 del secolo scorso, hanno rilevato una successione stratigrafica documentata riferita a una occupazione del sito sia in età preistorica (rame, bronzo medio e tardo bronzo) che ellenistica (strutture con ceramica di III a.C.). Stando ai rilievi archeologici, in questi luoghi l’uomo vi ha messo le radici sin dal neolitico, (facies di Stentinello), mentre nei documenti scritti appare nell’alto medioevo, nelle fasi avanzate della conquista araba della Sicilia. E qui si è massimamente d’accordo, ad identificare il toponimo di epoca bizantina, Erymata o anche Rèmata, citato dalle fonti, con l’odierno centro abitato di Rometta. Le tracce di un passato vissuto alla grande, da protagonista dell’area peloritana, Rometta li porta ancora oggi, con fatica seppur aggrediti, oltre che dall’usura del tempo, dai terremoti e dall’incuria alla quale sono state sottoposte per molto tempo. Oggi, queste testimonianze, mutili e frammentarie, ci rivelano una grande storia sopita ed aprono una porta verso una nuova conoscenza degli eventi che portarono questo piccolo grande centro del versante messinese dei peloritani a vivere da protagonista la maggior parte dei fatti storici di Sicilia.

L’epopea gloriosa di Bisanzio (877 - 965) - La prima comparsa di Rometta nella storia si deve ad autori in lingua araba, vissuti tra il X e il XIV secolo. Tra questi, i più prodighi di notizie, sono al-Bannāʾ al-Shāmī al-Muqaddasī (947-?), Yāqūt al-Hamawī (1179-1229), Ibn al-Athīr (1160-1233), an-Nuwayrī (1278-1332, Ibn Khaldūn (1332-1406). Nelle loro opere si parla di Rometta come di una città-castello facente parte dell’Impero dei Romani (Rūm) d’Oriente al centro di diverse operazioni di guerra intraprese dall’Islam, tra il 877 e il 965, per sottometterla e strapparla agli odiati bizantini.
Nel 877 preparandosi alla conquista della maggiore città di Sicilia, Siracusa, gli arabi fanno terra bruciata intorno alle roccaforti bizantine del Val Demone che ancora resistono, tra cui Taormina e Rometta in modo da non poter inviare eventuali aiuti a Siracusa.
Nell’estate 882, dopo aver inutilmente tentato di espugnare Rometta, l’esercito arabo devasta il territorio circostante e rientra a Palermo. Tre anni dopo si ripete un’ennesima operazione di conquista. Anche questa volta non riuscita, e dopo aver distrutto ogni cosa intorno alla rocca bizantina, le schiere saracene lasciano quelle contrade, rovinate ma libere. Nel 902 un’imponente offensiva è condotta dagli eserciti saraceni contro gli ultimi centri di resistenza bizantina della Sicilia. Cadono Demenna, Aci e Taormina, mentre Rometta è costretta a trattare la resa divenendo così tributaria dell’emirato di Palermo. Ma nel 962, sia Rometta che Taormina, rompono i patti di sottomissione e chiedono aiuti all’Impero bizantino. Nel dicembre di quello stesso anno, la popolazione di Taormina, assediata e priva di acqua, per la distruzione dell’acquedotto esterno ad opera degli assedianti, si arrende. Rimane solo Rometta.

 

L'Imperatore Niceforo affida ad Emanuele il comando della spedizione in Sicilia (964).
Miniatura tratta dal Synopsis Historiarum di Joannis Skylitzes del XII secolo,

manoscritto presso la Biblioteca Nacional de Espana di Madrid.
 

Nell’estate del 963 questa viene ripetutamente attaccata, e vista la tenace resistenza della popolazione asserragliata dentro la città e le pesanti perdite subite, gli arabi decidono per l’assedio ad oltranza. Nel frattempo, il nuovo imperatore di Bisanzio, Niceforo II Fokās (963-969), brillante generale e conquistatore di Creta, invia in Sicilia un poderoso esercito formato da forti contingenti di Armeni, Russi e Pauliciani , al comando del giovane nipote Manuele Fokās (Fig. 2) sostenuto da una forte squadra navale guidata da Niceta. Nei pressi della roccaforte assediata, tra la costa tirrenica e i passi peloritani, il 24 ottobre del 964, i due eserciti si scontrano in una sanguinosa battaglia, dalla quale i saraceni ne escono vittoriosi. Così, in Calabria, in quei giorni, un rattristato Nilo di Rossano, monaco italo-greco, appresa la notizia, annota: «nell’anno del mondo 6473 fu sconfitto l’esercito del patrizio Manuele alle remata (Rometta), e le stesse remata furono prese e vi fu inoltre grande strage». Stessa sorte subisce la flotta bizantina nelle acque dello Stretto dove l’ammiraglio Niceta è catturato e tradotto in Tunisia. Il 5 maggio del 965, logorati da ventuno mesi di duro assedio e devastati dalla mancanza di cibo, i difensori di Rometta inviano fuori

[…] le bocche inutili: mille della povera gente, com’è sembra, tra vecchi, donne e fanciulli. Ibn-‘Ammâr, invece di respingerli nella fortezza e affrettar la dedizione di quella, li accolse e mandò in Palermo; ma fu crudele coi rimanenti. Fatti pelle ed ossa, tuttavia combattevano, quando un giorno Ibn-‘Ammâr apparecchia le scale, dà l’assalto, lo protrae fino a notte; e allora una mano dei suoi salì su le agognate mura di Rometta. Passati a fil di spada gli uomini, saccheggiata la città, e fattovi grande bottino. Partendo dopo un anno e mezzo da’ selvaggi luoghi illustrati con tanto sangue, lasciò nella rocca presidio e abitatori musulmani .

Oltre agli autori in lingua araba, di Rometta e dell’infelice esito dell’intervento siciliano dell’imperatore Niceforo terminato con la Battaglia e la espugnazione, parlano altre fonti preziose, quali i Codici: gr. XX Cryptenses seu Abbatiae Cryptae Ferratae» del X sec.; il gr. Vaticano 1812 sempre del X sec.; il gr. Parigino 920 del X-XI sec.; il gr. Vaticano 2072 del X sec.; il Cod. ar. di Cambridge compilato tra l’XI e il XII sec.; il gr. Graecus Matritensis Ioannis Skylitzes del XII sec. e Leone Diacono intorno al decimo secolo.

 

 Rerum arabicarum quae ad historiam Siculam spectant ampla collectio ,

 opera e studio Rosario Gregorio, 1790.

 
La Rometta araba diventa un nodo militare strategico, una roccaforte «Qal’at R(y)mta», dove trova quartiere una nutrita guarnigione con lo scopo di vigilare su Messina e sui passi di montagna. Nei tre anni successivi alla conquista, gli arabi ristrutturano le opere difensive della rocca. Opere che verranno smantellate nel 969 nell’ambito di nuovi trattati di distensione tra l’Impero bizantino e il Califfato magrebino. Però, tra la fine del 976 e gl’inizi dell’anno successivo, venendo meno gli accordi con Costantinopoli, gli arabi ricostruiscono ciò che avevano diroccato e cioè, la cortina muraria e le altre strutture militari e Rometta ritorna ad essere operativa militarmente. Tutto questo dopo che Messina, per l’ennesima volta, nel maggio del 976, è stata assaltata da una flotta bizantina proveniente dai porti calabresi e immediatamente liberata dall’esercito arabo che si era radunato a Rometta e da qui calato su Messina dai passi montani.

La spedizione di Giorgio Maniace - Nel 1038, i bizantini, mai rassegnati della perdita della Sicilia, organizzano una nuova campagna militare affidata al generale, Giorgio Maniace. Sbarcato a Messina, presso capo Peloro, con un esercito composto da Russi, Scandinavi (Vichinghi), Italiani di Puglia e di Calabria e con un contingente di cavalieri normanni inviatogli dal principe di Salerno, viene subito affrontato dalla guarnigione della città che, uscita fuori dalle mura, impavida si scaglia sulle schiere avversarie. Grazie soprattutto all’intervento risolutivo dei cavalieri normanni, guidati da Guglielmo d’Altavilla, gli arabi vengono annientati consegnando a Maniace la città dello Stretto. Le fonti ci fanno intendere, come ipotizza l’Amari , che questo primo scontro sia avvenuto fra avanguardie e che il grosso dell’esercito arabo sia posizionato in realtà sui colli peloritani, proprio vicino alla loro base principale, Rometta, in posizione dominante, pronto a rigettare in mare gli invasori. Maniace li affronta con audacia, appiccando una sanguinosa battaglia in prossimità dei passi montani e li sbaraglia: «[…]in Siciliam appulit Georgius Maniaces […] conflictum ad locum cui Remata nomen, et victa carthaginenses, eorumque tanta edita strages ut sanguine profluens inundaret» . Lo scontro con molta probabilità si svolge presso il passo di Croce Cumia per allargarsi subito su tutta la dorsale peloritana circonstante.
Anche se nulla ci dicono gli scritti sulle sorti di Rometta, è facile ipotizzare che questa sia stata occupata dalle truppe bizantine e che il suo nome rientri tra il novero dei tredici castelli e città temporaneamente conquistati dalla breve avventura siciliana di Giorgio Maniace. Sospettato di tradimento, il generale è rimosso dal comando proprio mentre gli Arabi ritornano vittoriosamente alla controffensiva annullando totalmente le conquiste tanto faticosamente ottenute nei due anni precedenti. L’impresa militare di Maniace è entrata a far parte delle saghe nordiche europee attraverso le gesta giovanili di Harald Hardrada (lo Spietato), fondatore della città di Oslo, che dal 1046 al 1066 diventerà re di Norvegia (Harald III Sigurdsson della dinastia Hårfagreætten), che secondo la leggenda combatte nelle file dell’esercito bizantino assieme ad altri conterranei nella battaglia dei passi peloritani e di conseguenza entra vittorioso nella roccaforte romettese, a fianco del Maniace e del normanno Guglielmo “braccio di ferro”. Harald viene considerato dai Norvegesi come l’ultimo vero vichingo che si possa fregiare di questo “prestigioso” e nello stesso tempo “terribile” nome.



Harald Hardrada, Re di Norvegia, ultimo Vichingo, combatté nelle file dell'esercito bizantino

al comando di Giorgio Maniace nella battaglia dei peloritani nei pressi di Rometta (1038)
 

L’invasione dei Normanni. - Nel 1060 i normanni, guidati da Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, con la conquista di Reggio completano la loro impresa che li vede, adesso, acerrimi nemici dei bizantini mentre, prima molti dei loro padri avevano militato nelle file degli eserciti imperiali come mercenari. La loro corsa non si ferma sulle rive calabresi dello stretto, ma continua oltre: la Sicilia, con le sue ricchezze è a portata di mano. Il fratello minore del Guiscardo, Ruggero, abile cavaliere, invia un manipolo di guerrieri che sbarca tra Capo Peloro e Milazzo. Vuole raccogliere notizie sulla consistenza dei soldati saraceni presenti in zona, gli stessi che, in caso di un eventuale attacco a Messina proveniente dal mare, avrebbero potuto accorrere in difesa di questa. Il giorno dopo, nei pressi di Rometta, i normanni vengono intercettati da un grosso gruppo di cavalieri nemici. Sono costretti a riguadagnare il mare e fare rientro a Reggio.
Agli inizi del 1061, a Mileto, Ruggero è raggiunto da emissari del governatore arabo di Catania, Ibn ath-Thumnah per la richiesta di un patto di belligeranza contro l’emiro di Sicilia, Ibn al_Hawwas. Si tratta di una ennesima guerra civile tra arabi di Sicilia che contraddistinguerà gli ultimi decenni del dominio musulmano sull’isola. Ruggero accetta e, in fretta, raccoglie un migliaio di uomini, fra cavalieri e fanti che, imbarcati, fa approdare nei pressi di Milazzo, la quale riesce ad avere senza colpo ferire; così come Rometta in quanto i capi militari delle due piazze si professano fedeli ad Ibn ath-Thumnah. Non si tratta di un vero e proprio piano d’invasione, ma di una massiccia razzia perpetrata ai danni di un territorio nemico fedele all’emiro dell’isola. Questo è quello che si vuol far credere, mente in realtà, è intenzione dei Normanni costituire una testa di ponte per un successivo massiccio sbarco. Gli arabi di stanza a Messina reagiscono inviando una numerosa formazione di cavalleria sulla spiaggia a Capo Peloro, dove il bestiame razziato stava per essere stivato sulle navi per il traghettamento sulla sponda opposta. I cavalieri saraceni cadono in una morsa che non dà loro alcuna via di scampo. I normanni, fidando che ormai Messina si trova pressoché indifesa, si avviano per dare l’assalto alle mura. Ma accadde l’impensabile. La popolazione di Messina, diversamente da come si pensava, accorre in armi sulle mura accanto ai pochi soldati rimasti per difendere le proprie case dai pirati-normanni. La reazione dei messinesi costringe gli invasori ad imbarcarsi e riparare a Reggio incalzati da una squadra navale saracena, mentre l’alleato Ibn ath-Thumnah senza alcun ritegno si è dato ad una fuga precipitosa verso Catania.

 

Cavalieri normanni - scene tratte dall'arazzo di Bayeux (Francia)


A maggio di quello stesso anno, un nuovo e più numeroso corpo di spedizione salpa da Reggio e, protetto dall’oscurità, attraversa le acque dello Stretto a sud di Messina, per sbarcare uomini e cavalli presso l’odierna Tremestieri. Questa volta Messina viene presa di sorpresa in quanto i saraceni vigilano in armi tutta la spiaggia a nord, dove è avvenuto il primo tentativo sventato. La città viene saccheggiata e i normanni si rendono autori di veri e propri atti di violenza sulla popolazione. Dopo aver riparato le mura e rinforzate le difese di Messina, i normanni si dirigono su Rometta, dove è segnalata una forte presenza di soldati nemici, fedeli al legittimo signore di Sicilia. I normanni e gli uomini dell’alleato Ibn ath-Thumnah pongono il campo nei pressi della città-fortificata per pianificare gli assalti alle mura. Ma il governatore (qaid) arabo della piazzaforte apre le porte ed esce con i suoi dignitari e, recandosi nel campo avversario, giura fedeltà, questa volta apertamente, sul Corano ai nuovi arrivati .

I castelli normanni della piana di Milazzo. Ancor prima di un vero e proprio assetto politico-amministrativo che avrebbe portato ad una gestione ordinata ed efficiente del vasto territorio, compreso tra Messina e capo Tindari, e nell’attesa della conclusione della campagna militare per l’occupazione definitiva della Sicilia, Ruggero il Gran Conte affida la difesa e la protezione dell’area ai due centri abitati che possiedono delle fortificazioni «[…] castellorum Rimeta, Melacium» e sono più rilevanti per dimensione, densità di popolazione e status legale.

 

Rometta: reliquario a cofanetto in osso inciso intagliato e dipinto su anima in legno (sec. XII)


Per tutta l’area della cuspide nord-orientale, compreso il piano milazzese, possiamo ipotizzare un’attività di reimpiego delle opere prettamente militari esistenti, mentre l’attività edilizia vera e propria, si manifesta in massima parte per chiese ed abitazioni civili , conseguenze del rifiorire demografico ad opera di gente proveniente dalla penisola italica all’indomani stesso dello sbarco degli Altavilla, con una forte preponderanza di immigrati calabresi. Si tratta di una graduale espansione urbanistica di nuovi siti ma anche di vecchi centri esistenti: tutti profondamente legati allo sfruttamento agricolo del fertilissimo suolo . Il numero di casali, rahal, choria, pagus quali Gaidara, Papalardo, Mesolario, Capogio, Monastria, Kondou, Milici, Solaria, Protonotaro, Catafi, Aghiosmenna, Apostolo Andrea.
Per la stabilità normanna serve un’adeguata organizzazione economica e militare di tutta la regione in generale, ed in particolare dell’entroterra tirrenico del messinese, considerato quest’ultimo di interesse strategico per un efficace controllo di Messina già definita «quasi clavem Siciliae» .

 

Rometta: reliquario a cofanetto sec. XII (particolare)

 

La testimonianza di Idrīsī (1099-1165) di settant’anni dopo l’inizio della riconquista alla cristianità latina, evidenza l’attività di assestamento dell’area:

«Milas castello spazioso è paese grasso e forte rocca, paese de più belli. Ha buoni campi da seminare, copiose acque perenni e parecchie pescherie del tonno grande» .

Ed ancora:

«da Messina alla rocca di R.mtah corrono nove miglia e da questa a Munt Dafurt (Monforte) per mezzogiorno, quattro miglia. Da Munt Dafurt a Milazzo quindici miglia per tramontana» .

E dall’arabo Yaqut,

«R.mtah è nome straniero d’un castello forte nell’isola di Sicilia. Essa è lontana dal mare, sopra un monte; in essa sono pozzi d’acqua. La conquistò al-Hasan nel 965 e vi si domiciliarono i musulmani: la dovettero assediare per ventuno mesi» .

Per il consolidamento dell’amministrazione normanna diventa parte attiva la presenza del clero greco e latino . Il primo, molto numeroso, è rappresentato in larga maggioranza da monaci dell’ordine dei Basiliani, saldi ed attivi in cenobi, laure, ed eremi, ben inseriti nel tessuto sociale e sparsi per ogni dove in tutta l’area a maggioranza grecofona, in molti casi preesistenti all’occupazione araba e sopravvissuti all’intemperie della diversa fede. Anche la galoppante riorganizzazione della chiesa latina partecipa all’affermazione dell’ordine normanno e occidentale. E le due terre restano anche per gli anni successivi gli unici centri abitati di rilievo che nella Piana costituiscono il territorio della diocesi peloritana, così come indicano le fonti vaticane nelle Bolle Concistoriali degli anni 1151, 1166, 1198, 1216 e 1236 indirizzate ai vari vescovi messinesi.

 

Rometta: Croce astile del XII sec. - lamina in rame sbalzato, inciso e in parte

dorato su anima in legno (cm. 44 x 32)


Seppur nelle intenzioni di Roberto il Guiscardo tutto il Val Demone, o perlomeno una vasta porzione debba rimanere proprietà demaniale , Ruggero prendendo le redini del governo, inizia ad estendere anche a quest’area la prassi del trasferimento di alcuni poteri del dominus attraverso la delega dell’investitura a persone di fiducia e dell’entourage dell’Altavilla ai quali affida la parziale autorità su persone, beni e cose, entro i confini fisici della concessione. Con l’avvio del processo di feudalizzazione si stravolgono confini e territori modificando l’impostazione censuaria delle antiche parcellizzazioni fondiarie, in massima parte di eredità romana, dando vita nelle campagne a nuove indicizzazioni immobiliari, formati sia da semplici aree disabitate e quindi, da bonificare, ma anche da modesti agglomerati rurali, da villaggi e da casali, assieme alle loro pertinenze. Nonostante ciò, la maggior parte delle aree agricole, comprese le unità abitative della Piana, rimangono nella disponibilità di Ruggero e dei suoi successori.
Anche quando più tardi, verrà esteso capillarmente il sistema delle concessioni feudali (svevi, aragonesi), il Planum Milatium presenterà pur sempre una forte concentrazione di aree e terre demaniali rispetto ad altre regioni del Regnum Siciliae. Infatti sono demaniali, quindi della corte regia, vaste estensioni di aree boschive, seminativi, pascoli oltre a casali, quali Solarìa e Protonotaro, e terre, quest’ultime divenute in età moderna quasi tutte città con l’esborso di un forte donativo in moneta contante versata nelle casse della monarchia spagnola. Tra queste, Rometta (da terra a città nel 1648), S. Lucia del Mela (1621), Castroreale (1621), Milazzo (1621), Puzo di Goto (1639) e Monforte che avrà un’appartenenza al demanio di breve durata poiché diverrà stabilmente governata dal diritto feudale . A Rometta nel novembre del 1096 è presente un funzionario dell’amministrazione normanna, il Vicecomite di Ramettae, certo Leone Catananchi impegnato a dirimere «udicis faciens pro Domino Rogerio Comite» una vertenza sorta tra abitanti del luogo . Tra i fatti d’armi documentati quello della rivolta di Messina contro il cancelliere del minore Guglielmo II, e arcivescovo di Palermo, Stefano des Retrous, conte di Perche, quando i rivoltosi, tra il 1168-69 si impossessano dei due centri che controllano le strade per la città dello stretto: Taormina e Rometta. In quest’ultima riescono a corrompere il funzionario reale «[…] Messanenses aditus viarum obstruerent, primo Rimetulam (Rimetta) castellum fortissimum, occuparunt, castellani fide promissis facile precorrupta».

 

La Terra fortificata di Rometta nel XV - XVI sec. (disegno ricostruttivo).

 

Dagli svevi agli aragonesi: castra exempta. La peculiarità di città murata, fortissima nella difesa, perdura sotto l’amministrazione sveva del Regno. Nel 1239 il castrum ossia tutto l’apparato di fortificazioni del borgo murato di «Rainecta» (Ramecta) situato in «Sicilie citra flumen Salsum» è operativo e rientra nel progetto che l’Imperatore Federico II Svevia (1194 - 1250) elabora per creare una prima rete di castelli (castra exempta) in grado di costituire una solida difesa del Regno dai nemici esterni e interni. E tra le strutture militari presenti nella piana a fianco di «Melacium» (Milazzo) e di Rometta compare anche il castrum di «Monsfortis» (Monforte San Giorgio.) . Tutti i castelli rientranti tra quelli individuati nella lista degli exempta dipendono direttamente dall’Imperatore che ne dispone tramite i Provisores Castrorum. Questi funzionari sovrintendono alla manutenzione delle fortificazioni, il cui costo grava sui bilanci delle città stesse, e ai rifornimenti di armi ed ufficiali. La nomina del castellano, comandante del castrum, rimane tra le prerogative regie.
Identica disposizione militare è sancita dall’amministrazione angioina nel maggio del 1274. In quell’anno, Re Carlo I emana lo Statutum Castrorum Sicilie que custodiuntur per Curiam cum numero Castellanorum, con il quale si assegnano i militari professionisti (regolari) di servizio nelle strutture militari del Regno, mentre è da ricordare che, com’è consuetudine dell’epoca, spetti agli uomini del luogo il normale servizio di vigilanza delle mura e delle opere avanzate nel territorio, quali torri e torrette. A Rametta viene assegnato un uomo d’armi facente funzioni di congierge il quale ha il compito fino a che non sia sollevato da un ufficiale di grado superiore, di sovrintendere a tutte le normali attività militari del castrum. L’entità dei soldati regolari di guarnigione assegnati ad ogni singola struttura demaniale ci indica che il numero della popolazione maschile residente in Rometta, in quell’epoca, sia bastevole per attendere alle principali funzioni di sorveglianza e di prima difesa, soprattutto come balestrieri, lancieri, scudati e arcieri, contro minacce improvvise, considerate anche le potenzialità strutturali difensive possedute dalle fortificazioni del Castrum romettese. Il 26 gennaio 1283, Ind. XI, Re Pietro richiede per iscritto a Bajuolo e Giudici di Rometta, come ad altri centri abitati, di inviare al campo dell’esercito reale gente armata: nel nostro caso sono sei arcieri, «Ramectae pro archeriis sex datum» .
Infatti, la specifica assegnazione della forza militare prevista dallo Statutum, diversa per ogni singolo centro di difesa del Regnum, è da intendersi strettamente in rapporto alla specificità strategica che ciascun sito occupa nell’ambito geografico di riferimento. La posizione particolare del borgo murato di Rometta, abbastanza isolato dal contesto fisico circonstante, non permette ad un esercito ostile di utilizzare le normali macchine ossidionali, sia quelle a getto che di sfondamento, quali torri mobili, mangani, arieti, trabocchi, etc. che generalmente vengono impiegate contro siti fortificati di pianura (Milazzo) o di modesta entità (Monforte).
La stessa situazione si mantiene nelle successive ripartizioni del Giustizierato della Sicilia orientale del 1268 e del 1276 e rimane sostanzialmente invariata per tutta la durata del regno di Carlo d’Angiò. Il 3 aprile 1281, appena un anno prima dello scoppio della rivolta dei Vespri, Radulfo de Gorley viene nominato Provisorem castrorum Sicilie. L’assetto svevo ed angioino si evidenzia inizialmente, anche per l’età aragonese. Pietro III d’Aragona nel 1282, nella marcia di avvicinamento a Messina assediata da Carlo I, arrivato a Randazzo seguendo la via interna delle montagne, preferisce valicare la catena montuosa tagliando in direzione di Argimustus , nei pressi di Montalbano, e di Furnari anziché proseguire verso nord sul tracciato dell’antico Dromo. Il suo esercito, oltre a una buona presenza di cavalleria, fa affidamento sulla forza della fanteria degli almogaveri , più idonei a combattere su terreni accidentati che in pianura, il Re aragonese decide di marciare in valle Melacii e di calare su Messina dai passi della dorsale peloritana, vicini alla città, sfruttando appieno le qualità del proprio esercito. Questa scelta tattica ottiene subito due esiti importanti: porta l’esercito aragonese al controllo del piano milazzese e costringe Carlo a ritirarsi in Calabria ancor prima dell’arrivo di Re Pietro a Messina.

 

Rometta: Porta Milazzo, (detta anche Borbonia e Terra) con i resti del Torrione Saraceno

 

Dilungandosi negli anni la guerra del Vespro, la politica aragonese di Federico III stravolge radicalmente l’assetto non solo difensivo della Piana milazzese ma anche quello insediativo. Le numerose e sanguinose incursioni degli eserciti del Re di Napoli, Roberto d’Angiò contro l’entroterra messinese, nel tentativo di privare la stessa Messina della sua fonte principale di rifornimenti alimentari, hanno messo a dura prova tutta la vasta regione con devastazioni e saccheggi e tutte le volte le schiere nemiche sono state ricacciate con ingenti perdite. É ormai evidente che il solo castello di Milazzo non sia in grado di sostenere l’urto delle armi angioine, mentre i castelli di Monforte e Rometta si trovano lontani e a loro volta spesso sotto attacco. Così Federico decide di potenziare il dispositivo di difesa territoriale creando due nuovi castrum, Castroreale e l’odierna S. Lucia del Mela, dove costringe gli abitanti dei casali vicini ad abitarvi. Fortifica l’abitato di Monforte raccogliendolo entro una solida cinta muraria e ristorando il vecchio fortilizio bizantino di Monte Marra (m. 377). Potenzia con nuove opere fortificate il sito di Montalbano Elicona e conferma con atto scritto la demanialità di Rometta.

Questo sistema, pensato per il controllo della vasta regione, ricca di risorse indispensabili, quali quelle agricole, forestali e zootecniche, si protrae sino alle soglie dell’età moderna contribuendo allo sviluppo demografico ed urbanistico. Agli inizi del XIV sec. iniziano ad essere documentati in Sicilia le nuove armi che utilizzano la polvere da sparo che rivoluzionano profondamente l’architettura dei Castelli. A Rometta vengono posizionati sugli spalti del Castello-Forte di Porta Milazzo alcune bocche da fuoco puntati sulla collina di Portaro e sulla piccola vallata antistante, altri presso il Castello-Forte di Porta Messina. In questo periodo sono attestati lavori di rifacimento e di adattamenti al sistema difensivo murario , soprattutto nei due Castelli a difesa delle porte e nel Palatium. Quest’ultimo costituisce il mastio centrale, cuore di ogni estrema difesa. Sorge sul punto più alto, su un limitato rilievo, avvolto da una cortina muraria, all’interno della quale si ergono due corpi abitativi, distinti e separati .
Durante il lungo regno di Federico III, Re di Sicilia (1296-1337) il «castrum vel Fortilicium Terre Ramecte» partecipa attivamente alle operazioni belliche resistendo ai tentativi di conquista da parte angioina. Nell’estate del 1352 Re Ludovico vi soggiorna con una parte del suo seguito al sicuro delle mura di Rometta .

Con la Spagna. Nella rivolta di Messina del 1674 -1678, Rometta è trasformata in un grande accampamento militare, da dove l’esercito spagnolo parte per tentare di sfondare la resistenza dei rivoltosi, schierati a difesa dei passi montani che aprono la strada su Messina. Le contrade di San Cono e di Bagni diventano un grande accampamento, dove da Milazzo, quartier generale e base di smistamento delle operazioni militari, affluiscono armi, uomini e vettovaglie, all’indomani stesso dello scoppio delle ostilità. Da Rometta, nell’agosto del 1674, parte un numeroso contingente di soldati che, presso il passo di Lombardello (1050 m.), posto sulla dorsale peloritana, che separa Messina dal suo entroterra tirrenico, è affrontato dalle milizie messinesi. Lo scontro si protrae per alcune ore nei quali tutti i tentativi delle truppe spagnole, composte oltre che da siciliani, da calabresi, milanesi e napoletani, sono respinti dai rivoltosi. Alla fine la fanteria spagnola si ritira dentro le mura di Rometta, nonostante l’iniziale ritrosia della popolazione manifestata nei confronti della truppa. Con i diversi tentativi, finiti male, di conquistare le cime dei colli, i generali spagnoli decidono di consolidare l’accerchiamento di Messina, unendo ai capisaldi di Gesso, Rometta e Monforte, anche i vari castelli, palazzi fortificati e casali feudali del territorio: Villafranca Tirrena, Spadafora, S. Martino, Venetico, Roccavaldina e Gualtieri Sicaminò. Terminata la rivolta, i Giurati di Rometta vista la disastrosa situazione economica in cui versa la loro città e tutto il territorio, messo in ginocchio da quattro anni di guerra, avanzano l’istanza al Sovrano spagnolo di poter sospendere il pagamento della gabella di 14 tarì su ogni salma di frumento proveniente dal caricatoio di Milazzo: l’imposta è stata introdotta per le spese (partecipate da tutti i paesi del circondario) occorrenti al rafforzamento delle fortificazioni esistenti nella stessa Milazzo .
Nel 1719, ad appena poco più di quarant’anni dopo i fatti della rivolta, Rometta ritorna ad essere nuovamente al centro di fatti di guerra. Questa volta, per tutto il settembre 1719 diventa la base dell’esercito spagnolo al comando di D. Giovan Francesco de Bette, Marchese de Lede. Con i trattati internazionali di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) il Regno di Sicilia è passato sotto il dominio del Duca di Savoia, Vittorio Amedeo II che assume così il titolo di Re. Nel 1718 la Corona spagnola decide di riprendersi l’isola, ma il corpo di spedizione inviato per la conquista, dopo aver occupato tutta la Sicilia, rimane bloccato a Milazzo che resiste ad un duro assedio, da ottobre 1718 al maggio successivo. Dopo la sanguinosa battaglia di Francavilla del 20 giugno 1719, la controffensiva alleata punta su Messina,




Rometta: mappa delle vie montane in dotazione del corpo di spedizione spagnolo
al comando del marchese di Lede (1718).

 

dove il 6 agosto dello stesso anno, dopo durissimi attacchi, si arrende il castello Gonzaga e gli spagnoli si ritirano nella Cittadella. La difficile situazione spinge il Marchese di Lede a lasciare il suo campo trincerato di Francavilla e, nell’attesa di soccorrere la cittadella, pone il campo a Rometta. Tra le carte del suo stato maggiore, una in particolare traccia le fortificazioni di Rometta e le strade mulattiere dei due passi montani (Fig.3) di Croce Cumia e di Lombardello-Santo Stefano Briga , attraverso i quali, nelle intenzioni del marchese di Lede, deve affluire la sua armata di 15 mila soldati per venire in aiuto dei suoi uomini, asserragliati nella Cittadella e nel Forte SS. Salvatore. Ma mentre il Marchese di Lede, al sicuro tra le mura di Rometta tergiversa sull’attacco, a Messina la situazione precipita sempre di più. Già il 9 agosto, la città, stretta dalla fame, si è arresa e i messinesi hanno riconosciuto come proprio sovrano, l’Imperatore Carlo VI. Dopo pochi giorni, anche le guarnigioni spagnole delle fortezze di Matagrifoni e Castellaccio, tempestate dal fuoco nemico sono state costrette alla resa. Solo la Cittadella, con il vicino Forte del SS. Salvatore, sotto il tiro delle artiglierie austriache del Conte di Mercy, resiste con difficoltà. Tra il 22 settembre e il 2 ottobre, gli spagnoli lasciano definitivamente il campo di Rometta verso l’interno della Sicilia e, da lì a poco, la Cittadella di Messina si arrende. La pace di Cambrai del 1720 pone fine alle ostilità.

Dagli Inglesi al pericolo francese post-unitario. Per tutta la durata delle guerre napoleoniche, l’Inghilterra mantiene in Sicilia un corpo di venti mila soldati pronto ad intervenire per sventare un’invasione francese proveniente dalla Calabria. Quasi tutti gli Inglesi si trovano schierati nella parte orientale dell’isola. Nei piani di un possibile attacco nemico, Rometta riveste un ruolo nodale, dove, in caso di successo dello sbarco nemico, gli Inglesi si possano ritirare nell’attesa di sferrare una controffensiva su Messina occupata dal nemico. In tale evenienza i genieri inglesi allargano la strada mulattiera Spadafora-San Martino-Torretta rendendola carrozzabile: da questa arteria devono affluire i rinforzi con i rifornimenti. Ristorano le mura di cinta, rovinate dal terremoto del 1783, in special modo i tratti nei pressi delle due porte d’accesso. Costruiscono delle garitte sulle mura e al di fuori per mantenere numerose sentinelle e punti d’osservazione, soprattutto rivolti verso il Golfo di Milazzo, altro possibile obiettivo di un eventuale sbarco francese. A tal fine riutilizzano le due torri medievali in contrada Torretta, sovrastanti uno stretto passaggio della strada che porta alla piana di Milazzo. Un dipinto inglese (Fig. 4) dell’epoca raffigura Rometta nel tratto esposto ad ovest, cinta da mura ed isolata in mezzo ad un paesaggio montuoso .
Nel 1890, nell’ambito del vasto programma di opere di difese di Messina ed a seguito dell’ispezione del generale Genè e della commissione militare, preposta alla pianificazione delle opere militari da opporre ad una possibile invasione della Repubblica Francese, dopo i fatti di Tunisi del 1881, si decide di migliorare le vie montane per assicurare le comunicazioni fra Rometta e la linea trincerata della dorsale dei Peloritani. Inoltre, si stabilisce che in caso di un eventuale attacco nemico, con sbarco sulle coste tirreniche, sia meglio posizionare sul monte Palostrago una batteria di obici per contrastare l’avanzata ostile verso Messina. Alla fine si opta per un punto di osservazione che trova ospitalità nei ruderi di una chiesetta sconsacrata che viene ristrutturata per alloggiare i militari.




Rometta nel 1810 in una stampa pubblicata da John Harding. Londra 1815.

 

Le fortificazioni. Rometta sorge sulla cima di una rupe a 540 m sul livello del mare, circondata da pareti scoscese, che l’hanno reso isolata dal contesto orografico circonstante. E qui prendiamo a prestito le parole di un viaggiatore irlandese, ufficiale del corpo di spedizione inglese in Sicilia al tempo della guerra antinapoleonica che tra il 1810-11 girò per sei mesi gran parte dell’isola:

Anche se Rometta è circondata da diverse colline, queste sono così lontane che è quasi impossibile portare in cima i cannoni (per tirare alle mura), per questo io considero, Rometta, quasi inespugnabile. Ci sono centinaia di situazioni simili in Sicilia: e la migliore difesa del nostro esercito (inglese), se agendo all'unisono, sfiderebbe qualsiasi forza d'invasione: tale è la forza naturale di molte posizioni in questa singolare isola .

Chiunque sia stato il primo fondatore a scegliere questo sito non possiamo dubitare che abbia avuto una priorità assoluta: sicurezza. E qui ci si trova di fronte ad un luogo adatto ad assolvere egregiamente a questa funzione. Per renderla inespugnabile «bastava - come afferma Giuseppe Agnello - tirare (costruire) un semplice muro di sbarramento lungo il ciglione per frustare ogni tentativo di assalto, anche se sferrato da eserciti agguerriti ed aggressivi. Rometta – prosegue Giuseppe Agnello – si leva come naturale baluardo isolato da precipizi e impervie vallate» .

 

Sullo sfondo il versante nord della collina di Rometta con il borgo di Uliveto in primo piano.


Di seguito ci piace indicare alcune delle caratteristiche che hanno contribuito a creare una parte della storia di Rometta:
- sito su un vasto terrazzamento elevato in cima ad una collina rocciosa;
- sino agli inizi della prima metà del XIX sec. difficile da raggiungerla in quanto fornita solo di stretti sentieri alpestri;
- la sommità era divisa in due parti di cui, una urbanizzata e l’altra formata da terreni agricoli (Via Roma, quartiere Cappuccini) che in caso di assedi poteva fornire generi alimentari di prima necessità;
- presenza di acqua sorgiva attraverso i pozzi scavati ad una profondità di appena tre metri esistenti sulla cima della collina e quindi entro la cortina difensiva;
- numerose cisterne artificiali per la raccolta di acqua piovana;
- la collina era isolata e lontana da altri rilievi a tal punto da non permettere di essere raggiunta da armi offensive che potessero battere le mura di cinta o da essere sottoposta a bombardamenti sul centro abitato. Prerogativa durata sino alla seconda metà del 1800.
- crocevia di due strade mulattiere di importanza strategica che servivano a scavalcare la dorsale dei monti peloritani e raggiungere Milazzo e la piana.

 

Rometta: Porta Messina (detta anche Castello, Marina)

 

Tutto il perimetro dell’abitato è cinto, sin dall’epoca bizantina, di mura . I resti di fondamenta della cinta sono stati rintracciati sulla parte nord, dove non c’è stata attività edilizia, in quanto l’area era utilizzata per attività agricola, mentre sul lato meridionale sono state per un buon tratto inglobate nelle abitazioni civili, già a partire dai primi del novecento per proseguire sino a tempi recenti . Sul diffuso abusivismo perpetrato, nei decenni passati, ai danni degli immobili demaniali, quali mura di cinta, torri e porte, e su quelli religiosi di Rometta, una piccolissima parte di questi illeciti urbanistici è testimoniata dai diversi documenti depositati presso l’Archivio della Soprintendenza di Messina e tra questi risaltano, ad esempio:
- costruzione abusiva del 1963 addossata alla torre dei saraceni (torrione di Porta Milazzo) ;
- vertenza per una costruzione abusiva del 1915 addossata alla chiesa bizantina .
Dell’esistenza di torri di cinta che, ad intervallo si innalzano lungo il perimetro, strutturalmente necessarie per rinforzare staticamente una così lunga estensione, ma anche per permettere una difesa efficace nei tratti di eccessiva angolarità, abbiamo tracce che ci hanno portato ad individuarne solo cinque. La prima a pianta quadrata si eleva a strapiombo sul precipizio nel settore di ponente e si riferiva al Castello-Forte costruito a difesa di Porta Messina. Una seconda torre è testimoniata da una stampa del 1810 dove si riconosce una torre che inglobava la porta stessa. La terza è ancora visibile: il torrione circolare, detto anche torre saracena, che affianca l’altra Porta, quella denominata Milazzo. La quarta torre risulta incorporata in delle abitazioni civili sul versante sud-ovest individuata dallo Scibona negli anni 60 del secolo scorso. L’ultima era localizzata ai lati dell’odierna via Federico II di Svevia, contrada Rocche: di forma circolare era costruita nella stessa area dove oggi vi è il belvedere di San Giuseppe .


L’apparato di difesa è integrato con le strade d’accesso d’avvicinamento alle due Porte, da sempre punti deboli e vulnerabili in un sistema fortificato. E qui il problema è risolto strappando alla parete rocciosa un sentiero largo non più di 2 metri, solo il minimo indispensabile per far passare un quadrupede ma non permette ad un esercito nemico di far arrivare le proprie schiere in massa davanti ai battenti ferrati delle Porte o di utilizzare macchine da guerra (ariete, torri mobili, ecc.) per sfondarla. Due limitati sentieri, tagliati nelle pareti di roccia, danno accesso a due porte (sec. XIII) che si aprono nella cinta muraria, Porta Milazzo e Porta Messina, difese ognuna da un complesso fortificato autonomo, identificato nel passato con il nome di Castello , composto ognuno da torri, cisterne e alloggiamenti per la truppa.
In un sito adatto agli assedi non può mancare l’essenziale approvvigionamento idrico. Conosciamo l’esistenza di quattro cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Una è ancora visibile nella sua interezza alla base della Torre Grande del Palatium; un’altra nelle «ime sostruzioni» , nell’originaria piazza d’armi dello stesso palazzo fortificato. Quest’ultima a differenza della prima, aveva una capacità di raccolta superiore a quella vicina della torre grande . La terza, anche questa ancora oggi integra, si trova nella piazzetta della Chiesa bizantina ed emerge dal suolo simile ad un pozzo da dove si attingeva il prezioso liquido. L’ultima da noi conosciuta si trovava ad alcuni metri dalla parete nord dello stesso edificio sacro, in Via Ardizzone, e fu distrutta con la ristrutturazione intensiva dell’edilizia civile del secolo scorso.

 

Giuseppe Seguenza (1833-1889) naturalista.

 

Ma le risorse di acqua a disposizione dell’abitato non si esauriscono con le cisterne. Per resistere agli assedi la natura aveva messo a disposizione una riserva idrica del tutto particolare. Lasciamo la parola a Giuseppe Seguenza, il geologo messinese del XIX sec. che studiò a fondo la struttura geologica del monte di Rometta. Così dice il Seguenza:

[…] la rupe scoscesa su cui sta solidamente impiantata Rometta benché isolata e molto alta, essa somministra ai suoi abitanti limpidissima ed abbondante acqua potabile, che si procurano agevolmente sin nelle più secche stagioni, forando dei pozzi pochi metri profondi. Fenomeno veramente ammirevole .

A completare il dispositivo militare di sicurezza della città-castello contribuiscono le diverse torri e torrette erette in siti dominanti del sottostante circondario: in direzione nord-ovest quali sono quelle di contrada Torretta (o Torrione) e di Scalone. Le torri romettesi sono strutture di modeste dimensioni a guardia di una strada o di un passo. La torretta del Palostrago risulta inserita in un complesso più articolato rispetto alle altre, in quanto costituiva un ridotto fortificato basato, in origine, su due torrette gemelle circolari congiunte da uno spesso muro bastionato. Riconosciuta dall’archeologo Scibona come un residuo dell’epoca eroica bizantina, riutilizzata sino a tempi moderni, la struttura muraria della superstite torretta orientale si presenta oggi con blocchi lapidei di piccoli e di medie proporzioni di calcare locale , legate con malta bianca. Lo spessore medio delle opere murarie esterne, a differenza di quelle difensive del Palatium, è di un metro in quanto era arduo e pressoché impossibile avvicinarsi con macchine da guerra, atte a sfondare o essere raggiunti da altre armi da gittata, trovandosi le mura su posizioni elevate e il sito su un’area scoscesa solcata da profondi canaloni naturali. Il sistema difensivo di Monte Palostrago è dotato di autonomia operativa, completo di cisterne, per l’acqua piovana e pozzo, per quella sorgiva, magazzini e abitazioni per il personale di vigilanza. Per le necessità del personale addetto al sito si sfruttarono anche le numerose grotte esistenti sul poggio. Tutto l’apparato militare degrada verso il passo stradale sottostante dal quale passava (e passa tutt’ora, Strada Prov.le 56) la via Milazzo prima di immettersi nella vallata dominata dal Castello della porta meridionale di Rometta.
Solitaria è la Torre circolare di Scalone, costruita sulla punta di una erta collinetta a forma di un tronco di cono naturale sul cui vertice si incastra perfettamente la struttura muraria. Le torri romettesi rappresentano delle vere e proprie opere di difesa avanzate, fungendo da sentinelle protese con gli sguardi verso il Mar Tirreno, da dove giungono spesso le minacce rappresentate dalle incursioni saracene prima, e ottomane dopo a bordo delle navi barbaresche. Questo sistema difensivo risponde ad una precisa volontà di bonificare militarmente una vasta area, quella più esposta ad attacchi e, nel contempo, impedire che eventuali avanguardie nemiche possano giungere di sorpresa davanti alle due porte d’accesso della città-fortificata.

 

A questa funzione preventiva contribuiscono anche altre due posizioni fortificate, erette lontano dal territorio di Rometta. Sul fianco destro, il piccolo Forte di Saponara, oggi denominato Castello, vigila su un buon tratto di strada che porta ai valichi peloritani ed è dotato di cisterna e di una piccola cortina muraria. Più imponente si presenta il monte di Monforte, sulla cima del quale è situata una costruzione militare munita di muro di cinta. La collina turrita monfortese, oltre ad assicurare il fianco sinistro opponendosi alle minacce provenienti dall’entroterra occidentale, blocca un difficile sentiero alpestre che da Milazzo valica la dorsale nei pressi di Monte Calogero. Tutte queste posizioni sono in contatto visivo, in tal modo formano una rete comunicante efficiente in grado di preallarmare in tempi celeri tutto il territorio, Rometta compresa. E questo avviene con il sistema di comunicazione ottica a distanza, già in uso presso gli antichi romani: il fuoco di notte e il fumo di giorno.
Mentre al centro del pianoro abitato e dentro la cinta muraria si trova un’altra struttura, protetto a sua volta da mura perimetrali, spessi m. 1,50 e da due torri quadrate. Indicato con il nome di Palatium ma anche erroneamente Castello, si trova eretto su un’ampia balza rocciosa che emerge distintamente al centro dell’abitato fornito di due cisterne e da vasti ambienti coperti predisposti per la residenza del castellano e per le varie esigenze di rappresentanza. Dentro la torre più piccola, separata dal corpo principale dall’ampio cortile o piazza d’armi, due piani divisi di cui adibiti a carcere quello inferiore e di guardia quello superiore. Una porta ferrata, aperta sul muro perimetrale conduce al cortile interno.
Rometta era una città murata, dotata di un notevole ed elaborato apparato fortificato, in grado di sostenere l’importanza strategica che rivestì per molti secoli.
 

(sia l'estratto che il volume completo degli Atti pubblicati disponibili su questo sito nella pagina Papers to Download)
 

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